viernes, 26 de noviembre de 2010

Benigni: Italia & Berlusconi




Ah, che bellezza essere italiano
quando al mattino l'aria s'improfuma,
quando al barista chiedo da lontano
'Augusto, un cappuccino senza schiuma!'.
E mentre lo sorseggio mi ci beo
e penso alla Madunina e al Colosseo
e mentre penso al Ponte dei Sospiri
senza volerlo vado su di giri.
Penso ai Bronzi di Riace
e il mio corpo si compiace
e mi eccito parecchio
quando penso a Ponte Vecchio...

Ma poi penso a Berlusconi
e mi si sgonfiano i coglioni.
Mi si sgonfiano le palle
non so piu' dove cercarle.
Quando penso a quel biscione
mi si abbassa la pressione.
L'apparato genitale
c'ha un collasso verticale
Quando penso a Berlusconi
il testicolo s'ammoscia
tutto il corpo mi s'affloscia
ogni cosa mi va giù
e non si rizza più.
Non mi si rizza più.



(PARLATO)
Eh, c'è da ridere e c'è da piangere cari elettori ed elèttrici.
Eh, noi si scherza ma sulle malattie c'è poco da scherzare.
C'ho la Berlusconite! Come cosa è? La Berlusconite!
E il dottore mi ha consigliato di pensare che abbiamo avuto una grande storia,
una grande geografia, un grande passato. Provi a pensare, che ne so, a Mazzini, a... a... a... a...
ma provi a pensare a chi gli pare a lei. Gliel'ho attaccata anche a lui.
Va bene, finché dura io ci provo. Finché dura. Vediamo quanto dura. Vai attacca!



(CANTATO)
Ma è sempre bello essere italiano
ai tempi nostri e a quelli di Ben Hur,
Colombo, Dante, Cesare, Tiziano
e Camillo Benso conte di Cavour.
Sorseggio il cappuccino e mi ci beo
pensando a Garibaldi, a Galileo
poi mi sento il corpo turgido, gagliardo
se penso che discendo da Leonardo.
Penso a Coppi sul Tonale
e mi sale su il morale
e mi sale un'erezione
quando penso a Cicerone.

Ma poi ripenso a Berlusconi
e mi si sgonfiano i coglioni.
Mi si risgonfiano le palle
e non so più dove cercarle.
E quando penso a quel biscione
mi si abbassa la pressione.
L'apparato genitale
c'ha un collasso verticale.
Quando penso a Berlusconi
il testicolo s'ammoscia
tutto il corpo mi s'affloscia
ogni cosa mi va giù
e non si rizza più.
Non mi si rizza più.


(PARLATO)
È diventata una cosa tremenda! Non so piu' che fare,
dove andare, chi cercare, che sentire, che odorare, che tastare.
Eh, mi mettono in quarantena, in cinquantena, in sessantena, in settantena in centoventitreena.
Non posso muovermi, girare, non so dove andare.
Con le donne! Con la donna italiana, che e' la piu' bella del mondo.
Mi fanno ridere le francesi, le australiane, le andorrane, le liechensteniane.
Ah, le liechensteniane. Mi fanno ridere! Ma vogliamo mettere le italiane?
La donna più chic, più raffiné, più remuneré del mondo.
La donna italiana è la più vezzosa, la più garmidiosa, la più bellosa, la piu' gangarosa.
Io esco con una che ci diamo del lei pure nell'atto intimo.
'Prego si sdrai, si accomodi, si metta così, si metta cola'. Dopo di lei,sopra di lei, sotto di lei,
a lato di lei, di qua di lei. Alzi la gamba, sposti il ginocchio, via il calcagno, giù la coscia,
prego dopo di lei'.
Si chiama Luana. È una cosa eccezionale.
Sanno che non mi devono nominare quell'azienda, da nessuna parte.
Niente che riguardi quella persona là, quell'ambiente là, quella situazione là. Alla larga!
Oramai mi basta poco, mi basta un niente, mi basta un, un un pilo.
Mi basta un... un un capello. Mi basta un nonnulla. Ma ve la voglio raccontare. Vai banda, vai!


(CANTATO)
Che bella che è la femmina italiana
vestita, nuda, rossa, mora o bionda.
Iersera sono uscito con Luana
che c'ha un sorriso come la Gioconda.
E ha due monti rosa dentro al reggiseno
e gli occhi color del lago Trasimeno.
Insomma il corpo come lo Stivale
e monti, vallate e parco Nazionale.
Eravamo su un bel prato
fra il profumo della menta
quando lei mi ha sbottonato
sussurrando 'Mi consenta...'.

Ciò che sembrava una locomotiva
è diventato un nocciolo d'oliva
e Luana, da italiana, non ci crede
e mi domanda 'Amore che succede?'.
Io mi arrabbio e dico
'Dai, mi domandi cosa c'è?
Ma tu ancora non lo sai
quel che mi succede a me?'


(PARLATO)
Luana, ma porca della miseriaccia zozza!
Ma sei rimasta l'unica in Italia, nel mondo anzi, a non sapere il germe batterico che mi contrae il corpo. Non mi devi parlare di quella cosa là nel momento culminante dell'attimo suadente.
Te lo dico per l'ultima volta Luana, ma non te lo devi scordare. A me, io,

(CANTATO)
Quando penso a Berlusconi
mi si sgonfiano i coglioni.
Mi si sgonfiano le palle
non so più dove cercarle.
Quando penso a quel biscione
mi si abbassa la pressione
e l'apparato genitale
c'ha un collasso verticale.
Quando penso a Berlusconi
il testicolo s'ammoscia
mi si appoggia sulla coscia,
mi va tutto alla rovescia.
Il morale mi si sfascia,
non mi scappa più la piscia.
Si sfrantuma la brioscia
mi diventa moscia, moscia.
Si scaloscia la bagascia
ogni cosa mi va giù
e non si rizza più.
Non mi si rizza più.

Le Propietà di Berlusconi



Letra de Le Proprietà Di Berlusconi :
Io sono il boss, l'imprenditore
il proprietario del partito dell'amore
io sono il Cesare, leader mondiale
io sono il papi, l'utilizzator finale

La camera è mia, è mio il senato
sono io il padrone di Ibrahimovic e Pato
c'ho banche e banchieri, c'ho case editrici
c'ho Confalonieri, la Rai,
Mediaset, gli attori e le attrici
è mio Il Giornale e il Viminale
e naturale fra tre anni il Quirinale
finalmente sarà mio come fatto personale
magistratura e corte costituzionale

E' tutto mio, faccio sul serio
palazzo Chigi, palazzo Grazioli
palazzo Macherio, palazzo Madama
c'ho Villa Certosa che c'ha mille stanze
castelli, Antigua con tremila dependance

E' tutto mio, cari italiani
anche la casa a Montecarlo di Tulliani è mia
c'ho Denis Verdini, Maria Stella Gelmini
Frattini, Ghedini e Roberto Formighini

Augusto Minzolini, il tg1 è mio
è mio il tg5 in tv, le donne son mie
son potente e quindi le voglie tutte
soprattutto Rosy Bindi

La Lega è già mia, Maroni, Bossi e Cota
ho comprato tutti e m'hanno regalato il trota
e la destra di strorace e la dc di rotondi
e sono mie le poesie di sandro bondi

Ah, Cicchitto, Dell'Utri, non sò più chi c'è
eh Scajola e la finissima Santalchè ohiè
il partito si ingrossa, ormai c'è la ressa
Brambilla, La Russa, Ignazio La russa
passare alla cassa

Le barzellette che racconto io
le scrivo io e fanno ridere a tuo zio
Di aziende e banche ho fatto il pieno:
basta così, domani compro il Mar Tirreno!
Io compro tutto, dall’A alla Z
ma quanto cosa questo c..o di pianeta?
Lo compro io! Lo voglio adesso!
Poi compro Dio, sarebbe a dir: compro me stesso!

IMAN MAKELI

Pinturas de Imam Makeli

jueves, 11 de noviembre de 2010

miércoles, 10 de noviembre de 2010

GUÍA HABLADA DE LA ALHAMBRA

GUÍA. ENTRA

LAS DOS GRANDES PARTES DE LA ALHAMBRA




1,.ZONA PÚBLICA: EN TORNO AL PALACIO DE COMARES Y PATIO DE LOS ARRAYANES (COMARES O ALBERCA)

2.-privada (estancias del sultán, la sultana y su familia, en torno al Patio de los Leones)

LOS APELLIDOS DE LA ALHAMBRA

ALHAMBRA

El nombre Alhambra tiene sus orígenes en una palabra árabe que significa "castillo rojo o bermellón", debido quizás al tono de color de las torres y muros que rodean completamente la colina de La Sabica, que bajo la luz de las estrellas es de color plateado, pero bajo la luz del sol adquiere un tono dorado. Aunque existe una explicación más poética, narrada por los cronistas musulmanes que hablan de la construcción de la Alhambra "bajo la luz de las antorchas". Creada originalmente con propósitos militares, la Alhambra era una alcazaba (fortín), un alcázar (palacio) y una pequeña medina (ciudad), todo al mismo tiempo. Este triple carácter nos ayuda a comprender las numerosas características de éste monumento.


Puerta del Vino


Parece que la Puerta del Vino es una de las construcciones más antiguas de la Alhambra, quizás de la época de Mohamed II. Hoy la encontramos aislada dentro de la Plaza de los Aljibes aunque posiblemente formaba parte de un conjunto de construcciones que cerraba la citada plaza.

Desde 1556, los vecinos de la Alhambra depositaban en esta puerta el vino que consumían y que estaba exento de impuestos, lo que explica de donde proviene el nombre de la puerta, aunque existe otra teoría que dice que su nombre proviene de una simple equivocación, una confusión entre las palabras «Bib al-hamra'» (Puerta Roja o Puerta de la Alhambra), que se supone el nombre original de la puerta, y «Bib al-jamra» (Puerta del Vino), lo cual también probaría que ésta era la puerta que permitía el acceso a la Alhambra alta.

La fachada exterior de la puerta es la más antigua, posee un arco de herradura apuntado y dovelas rebajadas en relieve. En su dintel aparece un símbolo, una llave con un cordón, y un tablero de escayola que reza: «Gloria a nuestro Señor el Sultan Abu 'Abd Allah al-Gani Billah» (Mohamed V). Posee esta fachada un balcón gemelo, al igual que la fachada posterior, de más moderna construcción.

En la fachada posterior podemos admirar un arco con enjutas guarnecidas de decoración policroma de ladrillo. Sobre el arco, aparece un dintel adovelado que sirve de apoyo al segundo cuerpo, donde se encuentra en balcón gemelo anteriormente mencionado y en el que se puede leer en el cruce de sus arcos «Sólo Dios es vencedor» junto al escudo de los reyes nazaríes.



Puerta de la Justicia


La Puerta de la Justicia, conocida también como Puerta de la Ley en tiempos de los árabes, Bib-Xarea, fue mandada construir por Yusuf I en 1.348. No obstante parece ser que su verdadero nombre era Bib-Xaria, Puerta de la explanada y hacía referencia al espacio que delante de ella había. Esta explanada, hoy ocupada por jardines, arboleda y paseos, funcionaba como campamento, campo de maniobras y desfiles y se extendía hasta Siete Suelos.

Tiene un arco muy elegante en la fachada, dejando entrever un segundo arco de la misma forma pero más gracioso y pequeño, en mármol blanco de Macael. Sobre él hay una larga inscripción en el que cuenta como fue mandada construir por Tusuf I en el año 749 de la Égira y que se le da el nombre de Bib-Xaria o Puerta de la Explanada. Si penetramos en ella, veremos como conduce a un recinto quebrado, muy propio de las entradas árabes con el fin de defenderse mejor en un asedio. Puedes picar sobre el hueco de la puerta para ver una imagen del interior. Es la comunicación más directa entre La Alhambra y la ciudad. La torre es muy sólida y debió estar coronada de almenas, como todas las de esta fortaleza.

Existen dos símbolos o emblemas en los dinteles de los arcos de entrada. Uno tiene una mano esculpida y el otro, una llave. Estos símbolos han tenido muchas explicaciones. Por un lado se dice que era el signo del poder musulmán. Ningún enemigo de la fe islámica podría entrar aquí hasta que la mano pudiera coger la llave. Por otro lado la llave es un símbolo de la fe musulmana y representaba el poder de abrir y cerrar las puertas del cielo. La mano parece ser era un blasón de los árabes andaluces, empleadas en sus banderas y estandartes desde que llegaron a España, haciendo alusión a Gibraltar o Montaña de Entrada. También hay que decir que la mano servía para conjurar maleficios t espantaba a los demonios. Era un talismán que llevaban en Granada todas las mujeres moras. De igual manera representaba los cinco preceptos de la ley musulmana. Quizás representaba la defensa poderosa contra el enemigo.

Podemos observar detalles de la puerta interior, el hueco que existe entre la puerta exterior y la interior, la mano, el interior y la puerta de salida.

Patio de los aljibes o depósito de agua subterránea

Adarve

1. m. Muro de una fortaleza.
2. m. Camino situado en lo alto de una muralla, detrás de las almenas; en fortificación moderna, en el terraplén que queda después de construido el parapeto.
3. m. Protección, defensa.

Arrayán: arbusto de 2 a 3 metros de alto

Comares significa en árabe CASTILLO EN ALTURA

Abencerraje: Miembro de una familia nazarí de Granada

SALA DE LOS ABENCERRAJES

Alcoba del sultán



SALA DE LAS DOS HERMANAS




Aunque quizás podamos pensar que el nombre de esta sala provenga de alguna leyenda o hecho acaecido en ella, el nombre de esta sala se debe a dos grandes losas gemelas de mármol que se encuentran en el piso de la sala. Esta sala era el centro que una serie de habitaciones que servían de residencia a la Sultana y su familia real, y se sabe que la madre de Boabdil vivió aquí con sus hijos, tras ser repudiada por Muley Hacén.

Construída por Mohamed V la sala es cuadrada, con techos de lazo y alcobas que comunican con las Habitaciones de Carlos V y, a través de un balcón, con los Jardines del Partal. La entrada a la sala se realiza a través de un arco semicircular festoneado, que conserva las puertas de madera originales. A través de un pasadizo podemos llegar a los aposentos altos, con techos labrados en el siglo XVI. A la cámara del mirador se accede a través de tres pequeños arcos, con mocárabes en los arcos laterales y albanegas labradas en el central. A través de sus ventanas podemos tener una vista del Patio de los Leones.

El pavimento de la sala, de mármol, posee una pequeña fuente con surtidor y un canalillo que conduce el agua hasta el patio de los Leones. El elemento más impresionante de la sala, por su belleza y perfección, es la cúpula de mocárabes que encontramos en su techo, en la que la iluminación ha sido perfectamente estudiada, mediante la abertura de ventanitas laterales, convirtiendo la cúpula en una preciosa flor de una riqueza exquisita, que Ibn Zamrak ya dejó recogida mediante un poema del que podemos encontrar un fragmento sobre un zócalos de azulejos, con irisaciones metálicas. Las paredes de la sala están cubiertas de unas finísimas yeserías con diversos temas, entre los que podemos encontrar tanto el clásico lema de los nazaríes «Sólo Dios es vencedor» como, por ejemplo, unas manos cerradas.

PATIO DE LA ALBERCA EN EL PALACIO DE COMARES

(Alberca: Balsa con agua y fuentes)

Figura 1º Plano de la Alhambra




Figura 2 Plano del palacio de Comares con el Patio de la Alberca (Se le llama también patio de Comares o de los Arrayanes, porque éstos bordean la alberca)



MEXUAR

Lugar en el que se reunía el Consejo de Ministros, junto al Palacio de Comares.

El Palacio de los Leones era el lugar de residencia del sulán.

SALA DE LA BARCA

Especie de nartex a la entrada de la sala de embajadores en el Palacio de Comares

LA ALHAMBRA-IMAGENES

LA ALHAMBRA DE GRANADA


Historia



La Alhambra es una ciudad amurallada (medina) que ocupa la mayor parte del cerro de La Sabika. La Granada musulmana tenía su propio sistema de amurallamiento, por tanto la Alhambra podía funcionar con autonomía respecto a la ciudad. En la Alhambra se encontraban todos los servicios propios y necesarios para la población que vivía allí: palacio real, mezquitas, escuelas, talleres, etc.

En 1238 entra en Granada por la Puerta de Elvira, y para ocupar el Palacio del Gallo del Viento, Mohamed-Ben-Nazar (o Nasr), llamado Al-Ahmar el Rojo (ya que tenía la barba roja).

Cuando Ben Al Ahmar (Mohamed Ben Nazar) entró triunfador en Granada en ese año de 1238, la población le recibió con el grito de Bienvenido el vencedor por la gracia de Alá, él respondió: Solamente Alá vence. Éste es el lema del escudo nazarí y también está escrito por toda la Alhambra. Ben-Al-Hamar construyó el primer núcleo del palacio. Su hijo Mohamed II, que fue amigo de Alfonso X el Sabio, lo fortificó.

El estilo granadino en la Alhambra es la culminación del arte andalusí, lo que ocurrió a mediados del siglo XIV con Yusuf I, que construyó la Torre de Comares, y con Mohamed V, quien edificaría el Patio de los Leones

En 1492, con la conquista de Granada por los Reyes Católicos, la Alhambra pasa a ser palacio real. El conde de Tendilla, de la Familia de Mendoza, fue el primer alcaide cristiano de la Alhambra. Hernando del Pulgar, cronista de la época, cuenta: El conde de Tendilla y el Comendador Mayor de León, Gutierre de Cárdenas, recibieron de Fernando el Católico las llaves de Granada, entraron en la Alhambra y encima de la Torre de Comares alzaron la cruz y la bandera.

La ocupación napoleónica supuso un episodio negativo para la Alhambra, por la voladura producida en 1812, al retirarse el ejército francés. Sólo el arrojo de un soldado español pudo evitar casi su total destrucción.

El Comité del patrimonio mundial de la Unesco declaró la Alhambra y el Generalife de Granada como Patrimonio Cultural de la Humanidad en su sesión del día 2 de noviembre de 1984 y cinco años después, el barrio de El Albaicín (Al Albayzín), antigua ciudad medieval musulmana, obtuvo la misma denominación como extensión de la declaración como Patrimonio Cultural de la Humanidad de La Alhambra y el Generalife. La Alhambra fue uno de los 21 candidatos finalistas para ser elegida una de las Nuevas Siete Maravillas del Mundo, aunque finalmente no consiguió tal título.

Accesos a la Alhambra


Puerta de la Justicia.


Una forma de acceder al recinto es por la Puerta de las Granadas (subiendo desde plaza Nueva), otro acceso es por la Cuesta de los Chinos (al final del paseo de los Tristes):

El camino central, si se sube por la Puerta de las Granadas, es para transporte público, y llega hasta el Palacio de Carlos V. Andando se puede llegar hasta la Puerta de la Justicia (justicia para casos fáciles) [anteriormente la Bab Axarea, la Puerta de la Explanada, y en ella nunca se impartió justicia] que es de la época de Yusuf I, 1348.

En el centro puede verse el relieve de una mano, sobre el 2º arco, el relieve de una llave. Esta simbología ha dado lugar a muchas explicaciones, aunque ninguna definitiva, una posible es explicarlo como una metáfora del conocimiento (la mano debe coger la llave que abre la puerta del conocimiento)

Se desemboca en una explanada llamada Plaza de los Aljibess, por estar encima de una serie de aljibes. A la derecha está la Puerta del Vino, que comunica la Alcazaba con la zona de palacios (los dos más famosos y mejor conservados son el Palacio de Comares y el Palacio de los Leones).

Detrás de la Puerta del Vino, dejando a la derecha el Palacio de Carlos V, se accede a la zona de los palacios.

Cuando los Reyes Católicos, Isabel y Fernando, conquistaron el reino de Granada, expulsaron al rey de Granada, Boabdil, quien estaba triste por haber perdido lo que él llamaba "el paraíso terrenal". Y cuando ya se iba lloró delante de su madre mirando hacia atrás según se alejaba, hacia su Granada, y ella le dijo: llora como una mujer, lo que no supiste defender como un hombre.
En el camino hacia la costa granadina hay un puerto de montaña llamado "El Suspiro del Moro", nombre que se obtuvo de esta leyenda ya que desde este punto se puede observar toda la ciudad y la Alhambra a lo lejos, y desde donde se supone que paró Boabdil para admirar su reino perdido y no pudo evitar llorar.


Descripción de los edificios



Alcazaba

La alcazaba constituía la zona militar, centro de la defensa y vigilancia del recinto y con ello fue la parte de construcción más antigua de la Alhambra. Las primeras edificaciones árabes realizadas se corresponden con la época califal, en el siglo XI, ampliándose las mismas al convertirse Granada en capital de uno de los reino de Taifas. los elementos principales son:

▪ Terraza de la Torre del Cubo. Torre semicircular, construida alrededor de 1586, sobre una puerta islámica, fue vaciada en el siglo XX. Hoy en día constituye una terraza de privilegio para la contemplación del valle del Darro y el Albaicín.

▪ Adarve de la muralla norte.

▪ Plaza de Armas.

▪ Terraza de la plaza de Armas.

Torre de la Vela, constituía la torre de defensa más grande del conjunto militar, por su altura domina toda la vega granadina. Su nombre procede de la campana que los cristianos colocaron en la torre tras la conquista de la ciudad.

▪ La Torre del Homenaje. Se levanta en la parte más alta de la fortaleza, tiene algo más de 22 metros de alto y en su interior se distinguen seis pisos. El nivel más alto pudo servir a los alcaides del recinto de centro de operaciones de la defensa.

▪ Torre de los Hidalgos.

▪ La Torre Quebrada.

▪ La Torre Adarguero. Estas tres últimas torres dan a la gran explanada.

▪ Jardín de los Adarves, fue creado en el siglo XVII, cuando la fortaleza perdió su carácter defensivo. Existen buenas panorámicas desde este jardín.


Palacios nazaríes (principales estancias)

Los palacios nazaríes son el conjunto formado por el Palacio de Comares, construido en primer lugar, y el Palacio de los Leones. Cronológicamente fueron levantados después de la alcazaba, el generalife y el Partal, siendo su construcción del primer tercio del siglo XIV. Constituía la sede de las funciones administrativas, de la corte, protocolo y retiro y disfrute privado. Al bajar las escaleras de acceso, se van encontrando las siguientes dependencias:

Mexuar

Es la sala más primitiva. En época árabe servía de sala de audiencia y justicia para casos importantes. Tenía una cámara elevada cerrada por celosías donde se sentaba el sultán a escuchar sin ser visto. No existían las ventanas laterales. Tenía el techo abierto en su parte central. Al fondo se encuentra una pequeña habitación, que servía de oratorio, desde donde se divisa el Albaycín, se encuentra orientado de forma diferente a la muralla, para cumplir su función religiosa. La decoración es el resultado de multitud de intervenciones entre el siglo XVI y el siglo XX. En tiempos cristianos se utilizó esta sala como capilla. A continuación se entra en un patio con fuente en el centro y una cámara a la izquierda, denominado patio del Mexuar.


Patio del Mexuar o del Cuarto Dorado

No se conoce con certeza el destino dado a esta zona en época árabe. Si se conoce que se adaptó como habitación para Isabel de Portugal, para su estancia en la Alhambra, aunque nunca llegó a ocuparla. En la fachada del cuarto destacan los capiteles de su arco de entrada. Dentro del cuarto sobresale la techumbre, en madera de cedro, y decoración de piñas y conchas. Bajo él, ventanas cerradas con celosías. Dos portadas rectangulares bordeadas de cenefa de cerámica. La estancia está decorada con pinturas góticas y escudos y emblemas de los Reyes Católicos.

Existen dos puertas, una que conduce al palacio oficial y otra que no conduce a ningún lugar. La que conduce al palacio es más sencilla que la otra, se trataba así de confundir a los asaltantes y ladrones.


Vista del denominado patio de los arrayanes, de la alberca o de Comares, en el fondo se contempla el torreón de Comares.
La fachada del palacio fue erigida por mandato del Mohamed V, siendo inaugurada en 1370, es una fachada interior que no anticipa la majestuosidad del interior del palacio.

Sala de la Barca

Desde la galería norte del Patio de los Arrayanes y a través de un arco apuntado de mocárabes, accedemos a la sala de la Barca, llamada así ya que tiene un artesonado magníficamente ensamblado en forma de casco de barco. Esta sala, de forma rectangular de 24 metros por 4,35, parece ser que era más pequeña en un principio, y su ampliación fue realizada por Mohamed V. En esta sala existió una bóveda semicilíndrica que fue destruida por el fuego del incendio de 1890, sustituida por una reproducción de aquella que fue totalmente terminada en 1964. Los muros presentan ricas yeserías con el escudo nazarí y dentro de él, la palabra «Bendición» y el lema de la dinastía «Sólo Dios es vencedor».

La sala se encuentra rodeada por un zócalo en cuyos extremos encontramos alcobas con zócalos de azulejos, que revisten las columnas que sujetan arcos peraltados y festoneados de mocárabes y pechinas. Desde aquí se accede al Torreón de Comares, presidido por el Salón de los Embajadores.


Torre de Comares Salón de Comares o Salón de los Embajadores



Vista del salón de Comares, en el que se observan los vanos o alcobas abiertos en cada uno de los lados del salón.
Desde el patio del Arrayan destaca en un de sus extremos, el imponente torreón de Comares, se accede a él por la sala de la barca. El salón de Comares es la estancia más amplia y elevada de todo el palacio. Su construcción data del segundo tercio del siglo XIV, siendo sultán nazarí de Granada, Yusuf I, su función principal era celebrar las audiencias privadas del sultán. Los invitados se sentaban en los huecos que se abren en en las paredes. Además aquí encontramos el trono del sultán.
Presenta planta cuadrada de 11 metros de lado y 18 de altura, originalmente el suelo era de mármol y en la actualidad de barro. En el centro de la sala se puede observar un cuadrado con el nombre de Alá escrito sobre azulejos.

Es un lugar con un contenido poético muy rico, podemos encontrar distintas composiciones, alabanzas a Dios y al emir y también algunos fragmentos del Corán. Cada centímetro de la pared está cubierto por algún elemento decorativo.
En los laterales del salón hay 9 alcobas, tres por cada uno de los lados del salón, correspondiendo la alcoba central del lado norte al sultán, también se abren una serie de ventanas cerradas antiguamente por celosías de madera y vidrieras de colores llamadas cumarias, (de ahí el nombre de comares). Todas las paredes están cubiertas de yerserías con motivos de conchas, flores, estrellas, escrituras. Sala policromada: oro en el relieve, colores claros en lo profundo. Zócalo decorado con azulejos. El suelo original era de cerámica vidriada en blanco y azul con escudos de armas como motivos ornamentales.

Las paredes están, además, decoradas con versículos coránicos y poemas realizados en yesería, lo que le debían conceder a esta sala en sus orígenes, con la decoración que no nos ha llegado, con sus juegos de luz y su ambiente cortesano, una de las salas palaciegas más impresionantes del mundo islámico. La calefacción era de braseros y la iluminación con lámparas de aceite.
Uno de los aspectos más atrayentes del Salón de los Embajadores es su techo, de forma cúbica. En él se representan los siete cielos de la cultura musulmana, situados uno encima de otro. El Corán dice que sobre ellos está el trono de Dios; todo el techo está lleno de estrellas, en total son ciento cinco.


Vista general de la Alhambra


El techo es una representación el Universo, quizás una de las mejores representaciones de la Edad Media. Realizado en madera de cedro con incrustaciones de maderas de diferentes colores, va formando estrellas superpuestas que forman diferentes niveles. En el centro y lo más elevado está el Escabel (عرش) sobre el que se establece Dios-Alláh según los relatos coránicos. Desde éste se van repitiendo las figuras geométricas que dividen el techo en siete espacios, que representan los 7 cielos que descienden consecutivamente hasta este mundo: el 7 es uno de los números simbólicos por excelencia. Entre todos ellos configuran el Trono (كرس), que es el símbolo de la creación entera. Este uso simbólico de cosmología coránica -con tantas alusiones al Escabel, el Trono, al Rey que se asienta sobre él- tiene una clara intención de legitimizar al soberano como representante (jalifa de donde viene califa) de Dios en la tierra. El hecho de que el salón fuese el salón del trono, que estaba situado en su centro, justo debajo del escabel divino, es una clara referencia a esto. Pero la simbología de la sala no acaba ahí: las 4 diagonales del Techo de Comares representan los cuatro ríos del Paraíso y el Árbol del Mundo (o Axis Mundi), que teniendo sus raíces desde el Escabel se expande por todo el Universo. Pero no acaba ahí su simbología: las alcobas, 9 presentes (tres en cada muro), más 3 omitidas para dejar el paso a la sala de la baraka, son una referencia a las 12 casas zodiacales, en correspondencia con el papel de séptimo cielo que ocupa esa altura.


Salimos otra vez al Patio de los Arrayanes
. En un extremo del lado izquierdo del patio, un pequeño arco sirve de ingreso a un pasadizo por el que se llega a la zona privada del monarca, el Harén (Haram significa lugar privado). Se accede al Palacio de los Leones a través de:
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Palacio de los Leones
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Sala de los mocárabes
Se llama así por la bóveda de mocárabes que la cubría. La de hoy es del siglo XVII. Muros con labor de yesería, inscripciones religiosas y escudo de la dinastía Nazarí. Una arquería de mocárabes da paso al:


Patio de los Leones

Construido en 1377 por Mohamed V, hijo de Yusuf I. De planta rectangular, rodeado por una esbelta galería con 124 columnas de mármol blanco de Macael (Almería). Alrededor, las alcobas, salas privadas del sultán y esposas con piso alto abierto, falta de ventanas que miren al exterior, pero con jardín interior como corresponde a la idea musulmana del paraíso. Lo que hoy es tierra en el patio, fue jardín. De cada sala fluyen 4 arroyos que van al centro: los 4 ríos del paraíso. Las columnas se unen con paños calados que dejan pasar la luz. Fustes cilíndricos muy delgados, anillos en la parte superior, capiteles cúbicos sobre los que corren inscripciones. Las planchas grises de plomo convierten los empujes horizontales en verticales. Los dos templetes que avanzan a los dos lados opuestos del patio son como un recuerdo de la tienda de campaña de los beduinos. Son de planta cuadrada, decorados con cúpulas de madera que se apoyan en pechinas de mocárabes. El alero es obra del siglo XIX. Toda la galería está techada con artesonado de lacería.


Fuente de los Leones

Los últimos estudios hechos dicen que los leones proceden de la casa del visir y poeta judío Yusuf Ibn Nagrela (1066). No se sabe si se construyó antes de su muerte; se le acusó ya en la época de querer realizar un palacio más grandioso que el del mismo rey. Se conserva por el poeta Ibn Gabirol (S.XI) una descripción casi exacta de dicha fuente. Representan las 12 tribus de Israel. Dos de ellos tienen un triángulo en la frente indicando las dos tribus elegidas: Judá y Leví. Son del siglo XI. La taza lleva escrita en su perímetro versos del ministro y poeta Ibn Zamrak en los que bellamente se describe la propia fuente:

"(...)A tan diáfano tazón,
tallada perla,
por orlas el aljófar remansado,
y va entre margaritas el argento,
fluido y también hecho blanco y puro.
Tan afín es lo duro y lo fluyente
que es difícil saber cuál de ellos fluye(...)"

La fuente de los leones tiene diversas significaciones o simbologías. Por una parte los doce leones tienen una simbolización astrológica, cada león alude a un signo zodiacal. Por otra, tiene una significación política o mayestática que está relacionada con el rey Salomón (el rey arquitecto) puesto que hay una inscripción en la fuente referida a este. Por última y la más importante, alude a un símbolo paradisíaco refiriéndose así a la fuente, originaria de la vida y los 4 ríos del Paraíso.
Actualmente, la fuente se encuentra en proceso de restauración lo que ha hecho inevitable el traslado de los leones. Por tanto, si se visita dentro de poco la Alhambra, debe saberse que la Fuente de los Leones no está. La restauración de los Leones se inició en 2007 y concluirá en 2010.

Sala de los Abencerrajes

Esta sala fue alcoba del sultán. Al ser cuarto privado no hay ventanas al exterior. Los muros están ricamente decorados. El estuco y los colores son originales. El zócalo de azulejos es del siglo XVI, de la fábrica de azulejos sevillana. La cúpula está decorada con mocárabes; en el suelo, en el centro, una fuentecilla servía para reflejar la cúpula de mocárabes, que al estar ricamente decorada, conseguía una luz encantadora y mágica, pues al entrar la luz por la parte superior iba cambiando según las distintas horas del día.

Sala de los Reyes
Ocupa todo el lado oriental del patio. Llamado así por la pintura que ocupa la bóveda del cuarto central. Es la sala más larga del Harén, dividida en 3 cuartos iguales y dos pequeños que pudieran ser armarios, por su emplazamiento y falta de iluminación. Probablemente destinada a fiestas familiares. En la bóveda del centro, las pinturas representan a los 10 primeros reyes de Granada desde la fundación del reino, uno de ellos con barba roja que puede ser Mohamed ben Nazar llamado Al-Hamar el Rojo o El Bermejo, fundador de la dinastía Nazarí. En las bóvedas laterales hay pinturas que representan caballeros y damas, realizadas a fines del siglo XIV. Hubo un intercambio artístico en tiempos de Pedro I de Castilla quien solicitó ayuda al rey de Granada para restaurar los Reales Alcázares de Sevilla. Las pinturas llevan una técnica muy laboriosa:
1. Planchas de madera de peralejo bien cepillada y formando una elipse.
2. Sobre la superficie cóncava se extiende el cuero mojado, pegándolo con un baño de cola y claveteado con pequeños clavos de cabeza cuadrada cubiertos de estaño para evitar la oxidación.
3. Sobre el cuero, una capa de yeso, caña y cola de 2 cm de espesor ya tostada y pintada en rojo. Sobre esta capa y con un punzón se dibujan los temas.
La división interna de la sala está realizada mediante arcos de atajo, cortando la estancia de forma perpendicular. Estos arcos muestran su intradós repletos de mocárabes y sus paramentos están cubiertos por yeserías, en los que aparecen símbolos nazaríes y también cristianos. La apariencia conjunta de la sala con sus arcos decorados puede recordar algún modelo de mezquita almohade.
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Sala de las Dos Hermanas


El mirador de Daraxa o Lindaraja es uno de los espacios de todo el recinto con mayor riqueza decorativa, siendo uno de los lugares preferidos en época de Carlos V.
Se sale del Patio de los Leones por el lado opuesto a la Sala de los Abencerrajes. Se pasa una puerta original de taracea, una de las más bellas del palacio, actualmente conservadas en el Museo de la Alhambra. El nombre de Dos Hermanas procede de las dos losas de mármol blanco que hay en el suelo a ambos lados de la fuente central, exactamente iguales en tamaño, color y peso. Son las más grandes de La Alhambra. Tiene un mirador sobre la ciudad y comunicación directa con los baños.
Esta sala, al igual que toda la Alhambra, tiene poemas escritos en las paredes. En esta sala se puede leer uno que dice:
"Sin par,
radiante cúpula hay en ella
con encantos patentes y escondidos"

(...) "Nunca vimos jardín tan verdeante,
de más dulce cosecha y más aroma".
En cada cuarto del harén hay dos puertecillas: una da al harén alto, otra es una letrina. No hay cocinas. Empleaban el anafe o cocinaban fuera.
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Sala de los ajimeces y mirador de Daraxa o Lindaraja
Al fondo de la sala anterior está el Balcón de Lin-dar-Aixa. Daba al valle del río Darro y se veía a lo lejos la ciudad. La construcción del Pabellón de Carlos V interrumpe ahora la vista, por eso se construyó el Jardín de Lindaraja, italiano, con fuente renacentista y taza de mármol árabe. En el mirador de Lindaraja, se puede leer el siguiente poema: "Yo soy de este jardín el ojo fresco" (...) "En mi, a Granada ve, desde su trono"
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Habitaciones del Emperador
Con el nombre de habitaciones del Emperador, se conocen los seis aposentos, que fueron construidos durante el reinado de Carlos V, entre 1528 y 1537 y que configuran el patio de Lindaraja, hacia un lado y el Patio de la Reja, hacia el otro.4
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Cuarto del Emperador
Construido para que el rey Carlos habitase aquí mientras estaba en Granada, en su viaje de bodas. En el cuarto siguiente a éste hay una placa de mármol en memoria del escritor Washington Irving que residió en esta parte del recinto, mientras escribía sus Cuentos de la Alhambra, en 1829.
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El Peinador de la Reina
Torre árabe llamada de Abul-Hachach, usada por el sultán para recreo y meditación. Tras la conquista cristiana fue reformado. La planta superior pudo servir como tocador real y podría haber sido utilizado por la reina Isabel de Farnesio. Su estructura tiene influencias romanas por la presencia del mirador con la galería porticada y su decoración pictórica.4
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Patio de la reja o de los Cipreses
Se accede a este patio desde la última de la habitaciones de Carlos V, su construcción data de tiempos de Carlos V, al construirse las habitaciones del emperador.
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El Partal


El Partal.
Corresponde a la zona de las viviendas de los criados de Palacio.
▪ Pórtico del Palacio
▪ Jardines y paseos
▪ Rauda
▪ Palacio de Yusuf III
▪ Paseo de las Torres
▪ de los Picos
▪ de las Infantas: Construida en 1445. Es la mejor conservada. Buen ejemplo de lo que era una vivienda andalusí con todas sus comodidades. Es un palacete con bancos a la entrada para los eunucos, patio interior con alcobas, entrada en recodo, fuente en el centro, ventanas a los huertos de flor (en este caso, el Generalife), piso superior para las damas. Arriba, terraza. El techo era de mocárabes y desapareció en un terremoto. Curiosa bóveda de entrada. Residencia de las hermanas Zaida, Zoraida y Zorahaida, cuya historia narra Washington Irving en Cuentos de la Alhambra.
▪ de la Cautiva: Suntuosa construcción de Yusuf I. Debe su nombre a Isabel de Solís, que como dice el nombre de dicha torre estaba allí cautiva. Entre sus poemas se puede leer: "En sus zócalos, de obra de azulejos,
▪ y en su suelo, hay prodigios cual tejidos".


Baños

La joya de la casa árabe. El baño para el musulmán es una obligación religiosa. La construcción es copia de las termas romanas. Tienen 3 salas:

1. Cambio de ropa y descanso. Sala de las camas y reposo. Aquí se desnudaban, pasaban luego al baño y volvían a descansar. A veces les traían aquí la comida. En la galería alta había músicos y cantores.

2. Masaje. Sala de refresco o masaje. Son dos galerías con arcos.

3. Vapor. Sala de vapor. Más pequeña. Las bóvedas están abiertas con tragaluces en forma de estrella que en su día estaban cubiertos con cristales de colores, pero no herméticos, de manera que pudiese salir el vapor y entrar el aire fresco.

CHINA CONSTRUYE UN HOTEL DE 15 PLANTAS EN DOS DIAS

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domingo, 10 de octubre de 2010

ESCULTURA ROMANA







RETRATO ROMANO

DE LA PÁGINA DE FRANCISCO HERNÁNDIS (ESCULTOR). LINK

El retrato se tiene por una de las manifestaciones más originales del arte romano y tradicionalmente se consideraba creación romana aunque las raíces están en la tradición del último helenismo donde se da un avance en la individualización de los retratos.

Una segunda raíz la encontramos en los retratos funerarios etruscos (siglos VII y VI a.C.). Una tercera fuente sería una costumbre típicamente romana llamada imagines maiorum, éstas máscaras se realizaban en bronce u otros materiales. Buenos ejemplos son el grupo de Catón y Porcia y la escultura conocida como Brutus Barberini, representación de un patricio llevando dos bustos de sus antepasados en la procesión.





Si los retratos del mundo griego eran casi exclusivamente de varones y mujeres famosas, de personas que habían ganado reputación como atletas, poetisas, filósofos, gobernantes y oradores, los retratos romanos, podían ser de cualquier persona que tuviera medios, relaciones familiares o una cierta distinción para poder encargarlos. La gente de Roma, quería la imagen precisa de una determinada persona. Bajo la influencia del arte griego, los escultores que trabajaban para los romanos modificaban muy a menudo su estilo de retrato y hacían que sus personajes parecieran más bellos o más poderosos de lo que realmente eran, pero sin sacrificar sus características particulares. Y buscaron plasmar, no sólo el fisico, sino también el alma, el carácter.

Llegaron así, al retrato psicológico. Cultivaron el retrato de cuerpo entero, - de pie, sentado (sedente) o a caballo (ecuestre)-, o sólo de la parte superior del cuerpo, es decir, en busto. En los primeros tiempos, y hasta la época de Augusto, el busto sólo comprendía hasta el cuello; en el siglo II son frecuentes retratos de media figura. Aunque en la actualidad han perdido el color, normalmente eran policromados hasta el siglo II. A partir de entonces, fueron monocromos. El material más común fue el
mármol, aunque también se utilizó el bronce.

Catón y Porcia y la Loba capitolina






Hay que distinguir tres tipos de retratos:


Retrato togatos, se esculpe al emperador con toga y manto sobre la cabeza. Le representa como pontífice máximo.

Retrato toracatos, que representa al emperador como cónsul o militar, por lo que aparece con coraza.

Retrato apoteósico, que representa al emperador como una persona heroizada o divinizada. Aparece con la parte superior del cuerpo desnudo, corona de laurel y algún atributo de un dios. Es la representación más rica, aunque no la más frecuente.

El retrato romano evolucionó según las distintas etapas, y para poder distinguir la época en que fue creada la escultura es necesario observar algunos pocos detalles, como los ojos, la barba y el cabello. En el retrato femenino, además, quedan patentes las modas en los peinados.




Evolución escultura




Cesar Augusto
Retrato romano







Comparación Doriforo.Cesar Augusto



Ara Pacis








El relieve en la época de Augusto


El Ara Pacis (Altar de la Paz) es un monumento conmemorativo de la época del Cesar Augusto. Se halla en Roma y fue construido entre el 13 y el 9 a. C. por decisión del Senado, en acción de gracias por el regreso del emperador Augusto tras sus victoriosas campañas en Hispania y Galia, y la paz que éste había impuesto. Está dedicado a la diosa de la Paz y levantado en Roma, en el Campo de Marte, donde cada año se debían sacrificar un carnero y dos bueyes.


Vista frontal del Ara Pacisromano.



Vista trasera del Ara Pacis




Procesión del lado sur.




El material utilizado es mármol de Carrara, tiene una planta rectangular con unas dimensiones de 11 x 10 x 4'60 metros y no está cubierto. Presenta dos puertas: una frontal para el sacerdote oficiante, precedida de una escalinata, y otra posterior para los animales a sacrificar; estas puertas estaban orientadas originalmente al este y al oeste. En su interior el centro está ocupado por el ara propiamente dicha que se asienta sobre un pedestal escalonado.

Lo más destacado es la decoración escultórica que recubre el edificio. En el interior el friso está ocupado por guirnaldas y bucraneos. En el exterior los zócalos se recubren de roleos de acanto. Los frisos exteriores tienen distinta decoración según su ubicación: flanqueando las puertas cuatro alegorías, y en los muros laterales dos procesiones.

Las alegorías están relacionadas con la mítica fundación de Roma. De los cuatro originales solo dos se han conservado casi completos; uno de éstos representa a Eneas y el otro (el mejor conservado) a La Tierra, como una mujer con dos niños, flanqueada por los genios fertilizantes del Aire sobre un cisne y del Agua sobre un monstruo marino; todo ello acompañado de frutos y animales que hacen alusión a la prosperidad proporcionada por la Paz de Augusto.

La procesión de los frisos laterales representa a Augusto, su familia, amigos, magistrados y senadores, componiendo un magnífico conjunto de retratos que, no obstante, deja entrever una fuerte influencia de las Panateneas del Partenón, si bien los personajes procesionan en dos filas con más orden y disciplina que en el templo ático. Se combinan altorrelieves con medio y bajorrelieves, que contribuyen a crear sensación de profundidad.

Nos encontramos, pues, ante una obra que combina los elementos de origen griego y helenístico (la influencia de Fidias, las alegorías y elementos decorativos helenísticos), con el realismo y la sobriedad características de la tradición romana del retrato, representando por su calidad el punto más alto jamás alcanzado en el arte de los relieves.
Tras siglos de abandono el monumento se redujo a ruinas y sus restos fueron reutilizados para cimentar del palacio de Humberto I. En 1903 se realizaron las primeras excavaciones sistemáticas, completadas entre 1937 y 1938, con la reconstrucción del edificio durante los años de Gobierno fascista en Italia.

Uno de los pilares de la política interior de Mussolini fue la recuperación del legado romano; se apropió de los símbolos imperiales como vehículo de reafirmación nacional, y asimiló la imagen de un líder fuerte y absoluto como el Emperador romano a su propia posición como jefe único de todos los italianos. Durante el período fascista por él comandado, se realizó un ingente esfuerzo de recuperación de restos arqueológicos, la mayoría de las veces con poco acierto científico.

En fecha reciente, el monumento fue recubierto por un edificio de líneas minimalistas diseñado por Richard Meier, para protegerlo de la contaminación atmosférica que sufre Roma. El nuevo conjunto incluye salas subterráneas para exposiciones temporales. La novedad de un edificio tan moderno en un entorno histórico ha suscitado críticas, y fuentes del entorno del presidente Silvio Berlusconi han sugerido que el edificio de Meier podría ser desmontado.

El contenido de este artículo incorpora material de una entrada de la Enciclopedia Libre Universal, publicada en español bajo la licencia Creative Commons Compartir-Igual 3.0.

Escultura ecuestre de Marco Aurelio



Antinoo y Marco Aurelio



Antinoo representado como un griego

Recomiendo leer "Las memorias de Adriano" de Margarita Yourcenar



Historias en torno a Antinoo, como esta dek ANTINOUS TEMPLE OF HOLLYWOOD (Gays: Antinoo Dios de los Homosexuales)



Columnas

Trajano

Narra la victoria del emperador sobre los dacios. Es una especia de papiro helicoidal que va contando como si fuera en viñetas las hazañas de Adriano.


ROMA: MATERIALES DE CONSTRUCCIÓN Y SISTEMAS CONSTRUCCTIVOS


ARQUITECTURA ROMANA:
MATERIALES Y SISTEMAS CONSTRUCTIVOS


"La primera contribución de los romanos al progreso arquitectónico fue combinar el sistema de columna y viga transversal (adintelado) utilizado por la Grecia clásica, con el sistema de arco y bóveda desarrollado por los etruscos. Su segundo gran descubrimiento fue que resultaba más barato construir con un mortero de hormigón con guijarros y cascajo que con bloques cortados y colocados en seco. Los romanos pudieron no haber inventado el cemento (quizá ese mérito corresponda a los cartagineses) pero fueron ciertamente los primeros en explotar sus posibilidades.

La argamasa romana estaba hecha de cal y de puzolana (roca volcánica pulverizada), ...utilizada ampliamente desde el s. III a.C. y que resultaba idónea para unir grandes bloques rectangulares de piedra. A menudo, la piedra fue sólo un revestimiento mientras que la parte interna del muro se rellenaba con cemento: capas de ladrillo fragmentado, cascajo y argamasa. Los artesanos más hábiles construían la parte exterior y supervisaban el relleno de la parte central, que quedaba a cargo de soldados o esclavos.

Cuando aumentó la confianza en la argamasa, las piedras exteriores se hicieron más delgadas y pequeñas llegando a carecer de toda importancia estructural. Más tarde las piedras exteriores fueron cortadas en forma cuadrada (de 10 cmts de lado) y dispuestas según un esquema diagonal. Este aparejo evolucionó posteriormente con el uso de ladrillos especiales moldeados, en lugar de piedras.

Los arquitectos romanos pronto aplicaron el hormigón a la construcción de arcos y bóvedas. Disponían, pues, de un material adecuado a las aspiraciones de constructores de imperios. Las mayores bóvedas romanas cubrían un espacio que no fue igualado hasta llegar a los tiempos del acero (S. XIX d.C.)...

La ventaja del hormigón era que las bóvedas podían ser moldeadas para ajustarse a complejas formas de habitaciones sin necesidad de trabajosos procedimientos para el corte de la piedra. Era asimismo un material barato requería una menor cantidad de artesanos especializados y aumentaba las posibilidades para un complejo modelado de los espacios interiores. Así podrían utilizarse curvas en lugar de líneas rectas tanto en horizontal como en elevación. ...

Como no era en si mismo un material decorativo, el hormigón era recubierto habitualmente por un estuco pintado y, en otras estancias más lujosas, con finas capas de mármol de color; en las casas privadas, las paredes finas y suaves de estuco eran pintadas con murales de complicado diseño." (1)

"Otra novedad de transcendencia extraordinaria para el futuro es la aparición del ladrillo cocido... al horno, de gran dureza y consistencia. Con él se fabricaron paredes, bóvedas, muros y de él recibe esta fábrica el nombre de opus testaceum.(...)

Según sus formas y tamaños, los ladrillos recibían distintos empleos y nombres. La tegula o teja,... El gran ladrillo de dos pies en cuadro (60 x 60 cms), y por ello llamado bipedalis, se empleaba en arco sobre todo. Pero el más usado y corriente para los revestimientos de muros fue el de 45 x 45 cms,... y el de 22 x 22 cms. (2)

Según la disposición de los materiales en el muro se obtenían diferentes aparejos que los romanos llamaban "opus".


Opus incertum



Opus testaceum



Opus reticulatum



Opus spicatum



Hormigón en cimientos



Bóveda de cañón



ROMA.- LA ARGAMASA EN LA ARQUITECTURA

(Vitruvio.- De Architectura; ca. 28-27 a.C.)

"Es preciso, pues, adaptar las medidas a las distintas clases de edificios. Por las mismas reglas las columnas de los ángulos deben también tener su diámetro una quincuagésima parte mayor que el de las otras, porque estando a plena luz y al aire libre, parecerán a la vista más delgadas y es preciso que el arte compense de este modo el error de los ojos.

En cuanto a la disminución de las columnas en el sumoscapo, se ha de hacer en la siguiente proporción: si la columna fuese menor de quince pies, se dividirá el diámetro inferior en seis partes y se darán cinco al diámetro superior. Si la columna tuviese de quince a veinte pies, el imoscapo se dividirá en seis partes y media y se darán cinco y media al sumoscapo. En las de veinte a treinta, se dividirá el imoscapo en siete partes y se darán al sumoscapo seis. En las de treinta a cuarenta pies, dividido el grueso de la parte baja en siete partes y media, se darán seis y media a la parte superior. En las de cuarenta a cincuenta pies, será el imoscapo de ocho partes y se restringirá a siete el sumoscapo, y así, de la misma manera, se irá sucesivamente disminuyendo a proporción en las columnas que fueren más altas. En cuanto a éstas, es de advertir que, por su gran altura, se engaña fácilmente la vista del que mira de abajo arriba, y por lo tanto conviene rectificar este error aumentando el grueso de las columnas.

Los ojos son los que buscan la belleza; por tanto, si no se satisface su gusto tanto con las proporciones como con esas adiciones, que agradan oportunamente lo que parecería deficiente, el conjunto resultaría desproporcionado y feo a quien lo contemplase. Respecto de este abultamiento que se fija para el fuste de las columnas, y que entre los griegos se llama éntasis, al final del libro daré a conocer el método y figura Para que resulte proporcionado y no ingrato a la vista.

VVAA.- Fuentes y documentos para la hª del arte antiguo.
Ed. GG. Barna. 1982. págs. 258-259

ANOUSHKA

sábado, 9 de octubre de 2010

lunes, 4 de octubre de 2010

ARQUITECTURA ROMANA

Contexto





Los etruscos

Arquitectura arquitrabada (origen griego) y de arco (etrusca)




La Cloaca Máxima (¿600 a.C. ?)
ARQUITECTURA CIVIL



Las tumbas de Tarquinia
ARQUITECTURA FUNERARIA



Cerveteri

PINCHA PARA VER EL VÍDEO Vídeo de las tumbas etruscas



TARQUINIA





Templo



Volterra




Música de banquete o fiesta romana



Ciudad romana



Foro romano

Los foros romanos







ARQUITECTURA CIVIL Y RELIGIOSA

Casa e insula romana



















República



Imperio

Anfiteatro

Luchas de gladiadores, fieras y cristianos.


Música de espectáculo de gladiadores





Coliseo con las lonas



Circo romano

Carreras de cuádrigas, atletismo




Templo

Templos pseudoperípteros







Panteón







Termas de Caracalla. Roma





Del teatro griego al romano










Tumbas romanas y Catacumbas cristianas en la Vía Apia







OBRAS DE INGENIERÍA

Acueducto de Segovia





Puentes

En España muchos de los puentes romanos siguen en funcionamiento, algunos de ellos tal y como fueron originalmente, otros modificados. Los ingenieros romanos fueron verdaderos maestros en su construcción, ya que eran elementos fundamentales para el acceso a ciudades, que con intención se situaban en las inmediaciones de ríos. El motivo de esta ubicación era tanto defensivo como infraestructural -abastecimiento y desagüe-. Es evidente, que la gran red de vías romanas que se desplegó en la península necesitaba muchos puentes, con lo que los construidos fueron numerosos.

Muchos de los puentes que se construyeron más tarde, en la Edad Media, pasaron erroneamente por romanos. Para ello podemos dar una serie de características, no determinantes, pero que nos pueden ayudar a distinguir el origen romano de las construcciones:

Arcos no apuntados.

Fábrica de sillares muy elaborados y frecuentemente almohadillados.







Pilares rectangulares desde la base, con tajamares triangulares o circulares adosados que se cortan antes de llegar a los pretiles.



calzadas

El mundo romano era muy amplio y había que comunicarlo de una manera eficiente. Para ello, se construyó en todo el territorio una extensa red de calzadas, que no solo hacía que aumentasen las relaciones económicas y sociales, sino que habilitaba una forma rápida de trasladar los ejércitos, y, así, defender los núcleos de población. Estas vías necesitaban atravesar montañas y pasar sobre grandes ríos, construyéndose para ello puertos de montaña y puentes, fijos y estable

Una impresionante red de vías unía todo el territorio romano. Esta, partía radialmente desde la misma Roma, de aquí el dicho: "todos los caminos conducen a Roma". A medida que se conquistaban territorios se les dotaba inmediatamente de calzadas, comunicando así los distintas plazas fuertes, campamentos o ciudades.

No todas las calzadas eran de igual categoría: existían las terrenae, -de tierra, muy comunes-, las glarea stratae -una calzada empedrada con guijarros o pequeños cantos rodados, zahorra- o las silice stratae -de piedras de medio tamaño-.

Pero la calzada ideal, que solo se construyó en la mejor época del Imperio, era la que llagaba a las grandes ciudades. Tenía hasta un metro de espesor, y constaba de los siguientes elementos:
El statumen o cimientos que se adecuaban a las características de la zona.
El rudus, una capa de cascajos sobre los cimientos.
El nucleus, directamente encima del rudus se extendía arena y cal mezclada con cantos rodados y todo ello apisonado.
El pavimentum -summa crusta o summa dorsum-, de losas encajadas con piedras más pequeñas y esquirlas metálicas. Su superficie estaba peraltada en las zonas necesarias y ligeramente abombada, para la evacuación del agua de lluvia.



A sus lados existían canales para la recogida y conducción del agua. Además se señalizaba con mojones que indicaban distancias, llamados milliarios. Algunas de ellas, ya en la ciudad o cerca de ella, tenían aceras elavadas para el peatón.